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Le preiSTORIE

Brontosauro sì o brontosauro no?

Il brontosauro è il "dinosauro buono" per antonomasia: erbivoro, quadrupede, gigantesco, collo e coda molto lunghi. Ha una fama planetaria ma il suo nome, divenuto celebre quanto quello di una star, ha avuto una storia piena di vicissitudini, da quando fu istituito alla lenta caduta in disuso,

fino alla recente rivalutazione che ha invaso i media di tutto il mondo.

Questa è la storia che voglio raccontarvi nelle prossime righe, poiché spesso mi domandate del brontosauro:

una vicenda appassionante che però, a conti fatti, non si è ancora conclusa.

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Tutto ebbe inizio nel 1879, quando il celebre paleontologo Othniel Charles Marsh, del Peabody Museum of Natural History e professore alla Yale University, annunciò al mondo la scoperta di un enorme dinosauro, appartenente a un nuova specie che chiamò Brontosaurus excelsus.

Il nome brontosauro, evocativo e altisonante, voleva dire niente meno che "lucertola del tuono", dal greco brontē/βροντη e sauros/σαυρος, in riferimento al rimbombo della terra che doveva tremare sotto i passi di questo colosso.

Le ossa provenivano da Como Bluff, nel Wyoming, un'area fossilifera molto produttiva della Formazione Morrison, epicentro di una vera e propria "guerra delle ossa" che vedeva contrapposti i paleontologi rivali O. C. Marsh ed Eward Drinker Cope, quest'ultimo dell'Academy of Natural Sciences di Philadelphia. La guerra portò in breve tempo alla scoperta di decine di scheletri, appartenenti ad allosauri, ceratosauri, stegosauri, camptosauri, camarasauri, brachiosauri e diplodochi, solo per citarne alcuni.

 

Pochi anni prima, nel 1877, lo stesso Marsh aveva scoperto lo scheletro di un altro sauropode che aveva battezzato Apatosaurus ajax.
Le ossa dei due sauropodi si assomigliavano parecchio, al punto che nel 1903 il paleontologo Elmer Riggs dopo averle studiate approfonditamente pubblicò un articolo in cui assegnava i resti a due specie differenti ma raggruppate sotto un unico genere.
Quale scegliere però tra apatosauro e brontosauro? Seguendo le regole di nomenclatura zoologica il termine da adottare è quello che per primo è apparso nella letteratura scientifica, e in quel caso la priorità andò dunque ad Apatosaurus.

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Vecchia ricostruzione scheletrica di Brontosaurus pubblicata da Marsh nel 1891

Nonostante la pubblicazione di Riggs fosse stata accettata dalla comunità scientifica, il paleontolgo Henry Fairfield Osborn, presidente dell'American Museum of Natural History di New York, inaugurò nel 1905 il primo gigantesco scheletro di dinosauro sauropode mai montato in un museo, decidendo di esporlo al pubblico come Brontosaurus excelsus.

La scelta conservativa di Osborn fu forse la felice intuizione di uno scienziato, ma anche divulgatore, che aveva intravisto in quel nome straordinariamente evocativo la capacità di far breccia molto facilmente nell'immaginario collettivo. D'altronde oggi possiamo dire che Osborn coi nomi ci sapeva fare: quello stesso anno istituì infatti Tyrannosaurus rex, a tutt'oggi la specie fossile più famosa del mondo.

Allo scheletro newyorkese, composto da vari esemplari, mancava comunque il cranio, che fu preso dal camarasauro, altro sauropode della Formazione Morrison che aveva la testa relativamente grossa, il muso corto e una dentatura assai robusta. Nel 1909 effettivamente fu rinvenuto un probabile cranio di apatosauro, molto simile a quello di diplodoco, durante scavi condotti per conto del Carnegie Museum di Pittsburg. L'allora direttore William H. Holland propose di adottare quel cranio nelle ricostruzioni, ma molti paleontologi, tra cui Osborn, rifiutarono l'idea pensando che il collo massiccio del brontosauro (e dell'apatosauro) fosse troppo imponente per terminare con una piccola testa dai denti a piolo, simile nella forma e nelle dimensioni a quella di un cavallo. Fu così che neppure Holland montò il cranio giusto sullo scheletro del Carnegie Museum, forse in attesa di prove più convincenti e incontestabili, e il suo sauropode rimase senza testa finché i suoi successori lo completarono con un cranio da camarasauro.
Al Peabody Museum di Yale la soluzione adottata fu ancora peggiore: allo scheletro montato nel 1931 si decise di mettere un cranio inventato, inusuale per un dinosauro, scolpito prendendo spunto in parte dal camarasauro, in parte da disegni dello stesso Marsh (forse basati su resti frammentari di brachiosauro). Il discutibile risultato fu immortalato negli anni quaranta nella ricostruzione in vita del brontosauro dipinto da Rudolph F. Zallinger nello straordinario murale "The Age of Reptiles", ancora oggi nella hall del museo di Yale.

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Cranio di Apatosaurus ritrovato negli scantinati del museo - illustrazione di Davide Bonadonna

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anche il modello Geomodel prima della nascita di Dinosauri in Carne e Ossa utilizzava la ricostruzione di una testa da Camarasauro 

Bisognerà aspettare gli anni settanta per la risoluzione dell'enigma del cranio: i paleontologi John Stanton McIntosh e David Berman descrissero diversi esemplari, dando ragione a Holland e riconoscendo dunque che i diplodocidi avevano una testa relativamente piccola e con denti a piolo.

Il Carnegie Museum fu il primo a montare il cranio corretto, nel 1979, mentre l'American Museum of Natural History di New York lo fece nel 1995, sollevando anche la coda alla quale venne aggiunta la parte terminale a frusta.

Nel frattempo però il nome brontosauro era divenuto famosissimo e di uso comune, quasi come sinonimo di dinosauro, ed era ormai presente in pressoché tutti i libri divulgativi e nei romanzi di fantascienza, nei testi scolastici e sulle riviste, nei documentari e nei film, e in ogni sorta di merchandising, anche se nella comunità scientifica era sempre più radicata e diffusa la convinzione che Riggs fosse nel giusto e che le specie di Brontosaurus dovevano essere classificate sotto al nome di Apatosaurus. Negli anni novanta, tra i paleontologi più noti forse solo Robert T. Bakker, utilizzava ancora il termine Brontosaurus, ritenendolo valido.

In un periodo in cui internet era ancora agli albori del suo utilizzo e le notizie ancora non circolavano con la velocità del giorno d'oggi, ecco che l'influenza del pensiero scientifico cominciò, seppure con ritardo, a farsi sentire anche nella cultura popolare: nelle pagine dei libri divulgativi e delle riviste campeggiavano le vicissitudini del brontosauro (seppur spesso riportate in modo confuso e impreciso) e della cancellazione del suo nome, e per molti divulgatori questa vicenda divenne una delle storie preferite da raccontare, argomento di grande presa sul pubblico.

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Vecchia ricostruzione scheletrica di Brontosaurus

Arriviamo così al 2015, anno in cui alcuni colleghi pubblicarono un corposo studio sui dinosauri diplodocidi e sulle loro relazioni di parentela, una vera pietra miliare nonché punto di partenza per tutti gli studi futuri. Nella pubblicazione furono illustrate, descritte e analizzate centinaia di caratteristiche anatomiche per la maggior parte degli esemplari di diplodocidi conosciuti, e venne sviluppato un metodo statistico per quantificare nel modo più oggettivo possibile le differenze e le similitudini tra gli esemplari fossili collocati nell'albero evolutivo, così da poter decidere a che genere e specie assegnarli.

Spiccava tra i risultati il fatto che i generi Apatosaurus e Brontosaurus risultavano distinti e dunque entrambi validi: simili tra loro, entrambi molto più massicci del diplodoco, ma l'apatosauro aveva il collo ancora più largo e tozzo del brontosauro (per citare una caratteristica comprensibile anche dai non addetti ai lavori).

La notizia della risurrezione del brontosauro fece subito il giro del mondo irrompendo nei media col fragore del tuono, mettendo in secondo piano il valore della pubblicazione scientifica di Tschopp e colleghi, e da quel momento sono ormai molte e sempre di più le pagine web e i servizi dei media che hanno riportato in auge il beniamino di tante generazioni.

Dunque possiamo dire bentornato Brontosaurus? Forse sì, forse no.

Le conclusioni del lavoro scientifico sollevarono infatti altri problemi e misero i ricercatori di fronte a un'annosa questione che si pone nel lavorare su animali del passato:

come distinguere generi e specie fossili?

Se consultiamo il dizionario e cerchiamo la parola "specie", per i vertebrati, come noi e come anche i dinosauri, varrebbe la definizione "categoria di classificazione degli organismi che comprende individui in grado di accoppiarsi tra loro e di generare prole feconda". Far accoppiare brontosauri e apatosauri è un'impresa impossibile per ovvie ragioni, dobbiamo quindi accontentarci dell'osservazione dei reperti fossili.

Seguendo l'interpretazione dei risultati data da Tschopp e colleghi, i diplodocidi risultano animali incredibilmente diversificati nel Giurassico superiore. Nella sola Carnergie Quarry del Dinosaur National Monument, in Colorado, che rappresenta un intervallo di tempo e di spazio ristretto, troviamo otto specie di sauropodi vissute assieme: Apatosaurus louisae, Brontosaurus parvus, Diplodocus carnegii, Diplodocus hallorum, una specie non identificata di Barosaurus e una forma affine a quest'ultima, più Camarasaurus e Haplocanthosaurus.

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Nel mondo di oggi non ci sono comunità in cui vivono otto erbivori di grande taglia e simili nell'aspetto: gli animali hanno bisogno di spazio e di cibo, e ciascuna specie è rappresentata da popolazioni con una moltitudine di individui.
Anche ammettendo differenze nella dieta (che rispecchierebbero le differenze più macroscopiche nei crani) quanti sauropodi potevano davvero esserci in un ecosistema giurassico come quello della Formazione Morrison, spesso assimilato a un ambiente di savana non troppo lussureggiante, dominato da piante fibrose e a crescita non particolarmente rapida quali cicadee e conifere? Ed è davvero possibile che tra la moltitudine di esemplari vissuti nel passato i cercatori di ossa abbiano avuto la fortuna di trovare i resti fossilizzati di quelli rappresentativi di tante specie diverse?

Il numero di specie identificate in rapporto al numero di esemplari trovati è infatti davvero incredibile e destinato a crescere.

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Per rispondere a questi enigmi, non resta che investigare la possibilità che questa varietà di forme rispecchi piuttosto la grande variabilità intraspecifica che si può osservare in una popolazione naturale di animali, a partire dalle differenze tra maschi e femmine e senza sottovalutare quelle tra un individuo e l'altro, e tra giovani e adulti (queste ultime in parte considerate anche nell'articolo che ha rivalutato Brontosaurus). Il paleontologo Donald Prothero nei suoi commenti sul web ha portato l'esempio delle giraffe attuali (Giraffa camelopardis), studiate da Mihlbachler e coautori nel 2004, che mostrano una nutrita serie di differenze nelle corna, nella forma e nelle proporzioni del cranio, in alcune caratteristiche del collo e altro ancora.

Speculando su questi dati c'è la tentazione di pensare che le specie di sauropodi della Carnegie Quarry fossero effettivamente poche, e viene spontaneo accorpare le forme "gracili" (diplodoco/barosauro) nei diplodochi e quelle tozze (apatosauro/brontosauro) negli apatosauri, proprio come diceva Riggs più di cento anni fa.

Come (e se) finirà la storia del brontosauro è presto per dirlo, ma penso che prima di rimettere ufficialmente il nome scientifico Brontosaurus nei libri e nei musei ci sia ancora tanto da studiare, per vedere se ai nuovi dati si può dare una chiave di lettura differente in sintonia con le leggi della natura.

Il termine brontosauro, ormai radicato nell'immaginario collettivo nonostante le mille vicissitudini, potrebbe però rimanere a buon diritto come nome comune per riferirsi ai sauropodi diplodocidi, e in particolare a quelli massicci e col collo tozzo che quando camminavano facevano tremare la terra.

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Vi è piaciuta questa storia? Continuate a seguirmi per scoprire altre meraviglie del passato!
Alla prossima avventura nel tempo!

- Simone Maganuco

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